6/7/2021
Inumare la Fede.La sosta in una chiesa porta con sé il desiderio, consapevole o no, di parlare alle orecchie di Dio e svolgere di fronte a Lui i pensieri che attraversano la mente.
L’allentamento della pandemia non ha riempito le chiese, ma le ha inoltrate ancora di più nel loro silenzio favorendo questo colloquio intimo. Così può capitare di ritrovarsi, pressoché soli, in un celebre e antico santuario dove il parlare a se stessi e a Dio è anche un tuffo nella contemplazione della bellezza, della ricchezza artistica, un appoggiarsi a Dio nel silenzio. … ma non solo. Ci s’inoltra in una chiesa desiderosi, e bisognosi, di assaporare una Presenza, ma di questi tempi può capitare di …non trovarla. Si è spinti allora a cercare un aiuto nei volti scolpiti delle statue, opere d’arte che sono quel vasetto di alabastro, pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore (Mc 14,3) per alcuni inutilmente costoso, ma alla cui contemplazione, nel passato, tanti uomini (anche poveri) hanno potuto riposare il proprio cuore, toccare in qualche modo Dio. Le opere d’arte sono le parole del Signore rese corpo: avrete sempre con voi i poveri e potete far loro del bene, quando a voi piacerà; me, invece, non mi avrete sempre (Mc 14, 7). Oggi si può sperimentare che di quella Presenza viva, ricercata, sembra rimanerne solo la raffigurazione materiale. Tutto appare come pietrificato per quel processo, ormai inevitabile, dello spegnimento della Fede soprattutto nel momento in cui Roma sempre più assume lo sguardo inesorabile della Medusa. Perso lo Spirito, anche l’arte è confinata alla sua materialità, oggi Dio non è più funzionale ai discorsi secolari della chiesa; da qui il motivo dello straniamento delle opere d’arte. Sculture, dipinti, spazi avevano senso in uno spazio diverso dalla dicotomia religioso e secolare nella quale si è immersa anche la chiesa. Le opere d’arte erano il simbolo vivo di un mondo in cui il materiale e lo spirituale erano totalmente dipendenti l'uno dall'altro e si penetravano l'un l'altro a tutti i livelli e questo mondo era quello dell’Antico e del Nuovo Testamento, del peccato e della virtù, dell’anelito alla redenzione, di un’umanità che camminava in ricerca della Grazia. Quel mondo esprimeva una visione integrale perché comprendeva tutta la realtà; anche noi oggi abbiamo una visione integrale ma diversa, lo si vede soprattutto negli uomini di chiesa per i quali le religioni ormai sono relative, perché vanno e vengono, ciò che resta è la fratellanza tra gli uomini in un mondo in cui Dio è un maggiordomo tanto più apprezzato quanto più è silente. La chiesa è in uscita da Dio, nell’unica realtà che crede veramente esistente: il secolare, dove può essere libera dal religioso e finalmente può giocare tutto. Nell’epoca cristiana (quella che in virtù di un’ideologia si è definito medioevo) il secolare, però, era ciò che era nel tempo, e tutti i viventi sono nel tempo, chi più, chi meno. Non esisteva dicotomia, perché tutta la realtà era soprannaturale. Tra le parole in disuso perché considerate carnevalate, come le insegne pontificie, c’è anche questa, ma non è un caso che fino al XII secolo fosse il clero secolare il veicolo principale dei sacramenti… Siamo ormai in un contesto ecclesiastico in cui infastidisce perfino andare in chiesa perché, sotto soglia, ci si domanda: ma pregare, parlare di Dio, serve realmente? No!, perché tutto questo si può abbandonare e noi siamo ancora gli stessi, solo il secolare è la realtà, perché è sempre realmente lì, e quindi è coerente che non ci percepiamo più religiosi, ma secolari. Si è adottata di conseguenza una disciplina in grado di accelerare il processo d’impoverimento della vita spirituale fino al torpore e all'indifferenza; rapidi colpi con cui si viene catapultati in una sorta di senso di spaesamento, di ambiguità esteriore e interiore per impedire di riconoscere se stessi. Dopo aver irriso per anni ogni aspetto della Fede della Chiesa, offeso e ferito quanti quella Fede cercano di vivere, affermare che è il tempo del lieto annuncio del Vangelo più che della lotta al paganesimo. È il tempo per portare la gioia del Risorto, non per lamentarci del dramma della secolarizzazione. (Omelia in san Pietro per la Pentecoste 2021) sono parole di cui è rimasto solo più il suono, non appaiono associate ad alcuna realtà. E’ l’esito della strategia del caos, lontana dal cristianesimo però che presuppone invece la ricerca dell’armonia, perché il caos è il peccato, un'aberrazione, una corruzione e, in definitiva, qualcosa che non ha nemmeno un vero essere, perché è un’assenza. Dimentica del Mistero, la chiesa, autodefinitasi Mater et Magistra, esperta in umanità, ha assunto lo sguardo della Medusa, impietrendo l’anima di molti. Così può diventare assai doloroso sostare in una chiesa! Sono di grande attualità le osservazioni della scrittrice americana Flannery O’Connor (1925 - 1964): “La verità non cambia in base alla nostra capacità di sopportarla emotivamente” E ancora: ci sono lunghi periodi nella vita di tutti noi e dei santi, in cui la verità rivelata dalla fede è orribile, emotivamente disturbante, decisamente ripugnante. Assisti alla notte oscura dell'anima nei singoli santi. In questo momento il mondo intero sembra attraversare una notte oscura dell'anima." Al cristiano sottoposto a tale prova non resta che porsi una mano sulla bocca, come Giobbe (Gb 39,34b [Bibbia CEI 40,4]), perché, come lui, sotto il giogo di un’autoaffermazione inospitale della chiesa, che cammina verso un vuoto interiore che istupidisce, si è colpiti da un grande dolore che spinge l’anima fino alla frantumazione del suo nucleo più profondo. In un contesto che per nascondere il vuoto diventa aggressivo, dove si coltiva la confusione e l’ambiguità, il cristiano è chiamato a essere presente al suo pensare ricordandosi che il pensiero è un dono di Dio che esige che ci si prenda cura di lui con tutte le proprie forze. Con umile distacco, però. Non per arroccarsi in un passato che ormai non esiste più, ma per la sopravvivenza della Fede, non della propria singola vita, del proprio io, del proprio mondo immaginario. Perché che uomini saremmo se non rimanessimo fedeli a ciò in cui crediamo? Il senso di malinconia che invade il cuore sostando nel santuario ormai semivuoto può aprirsi a un atteggiamento rinunciatario, ma non necessariamente. Prendiamo atto che si sta inumando la Fede. Quando si avvia un processo così terribile, dobbiamo essere consapevoli che è stato stravolto il pensare perché è venuta meno la Tradizione e noi dobbiamo farcene carico. Se chi dovrebbe preservare la Fede è arrivato a sbeffeggiarla, noi dobbiamo assumerci la responsabilità di farne il compianto, ma anche deporre tutto nel sepolcro, con il dolore che accompagna la sepoltura di un morto dal quale è difficile distaccarsi. Con il pensiero vigile, però, perché si può inumare la Fede considerandola ormai una carnevalata da sostituire con qualcos’altro; oppure si può inumarLa per preservarla, proteggerla. A una persona che gli domandava con quale spirito interiore occorresse avvicinarsi all’Eucarestia, Jean Jacques Surin sj (Ɨ 1665) indicò con finezza un possibile atteggiamento mistico: Il sepolcro di Gesù Cristo sarà il luogo del tuo riposo, come lo fu per la Maddalena e per le altre donne devote… Lì fissavano la loro dimora rimanendovi nel raccoglimento, onorando con la preghiera, le lacrime il mistero della sua morte. Devono essere le custodi del suo corpo ... Conservandolo in se stesse come nella tenda adatta per questa condizione di morte, dove è deposto per donare vita alle anime, la morte ai vizi, alla concupiscenza e allo spirito del mondo. Se ci viene imposto ora di inumare la Fede, non predicando, non facendoci riconoscere; depistando e relativizzando il nostro Credo, possiamo e dobbiamo considerare il nostro mondo interiore come il sepolcro in cui Cristo attende e, come Maria, che la Tradizione ricorda come la sola ad aver preservato la Fede al momento della morte di Gesù, conservare anche noi il bene prezioso. Compiamo questo percorso con la consapevolezza che stiamo facendo il compianto di quello che veramente conta e lasciamo morire quello che ormai è in putrefazione. E’ già successo nel corso del tempo; non dimentichiamo che la storia di alcuni santuari è collegata al nascondimento, anche per lunghi periodi, di un’immagine venerata per preservarla dagli eretici. I nostri tempi sono particolarmente terribili e oscuri perché dobbiamo preservare la Fede dalla stessa chiesa. Il cammino è ruvido, siamo chiamati a bere al calice della confusione: tolleriamo di inumare la Fede apparentemente allo stesso modo di coloro che, al vertice del potere, la seppelliscono per distruggerla. E’ un’esperienza mistica dolorosa, perché stravolge la fedeltà e ci pone su un limite, ma se nel profondo dell’anima cerchiamo di rimanere abitualmente rivolti verso Dio (che di solito ci guarda in faccia) impariamo, se pur lentamente, a dimenticare tutto ciò che non è Dio. Costretti a seppellire la Fede come un morto, è lì che nascerà l’autentica fedeltà e il grano sarà diviso dall’erba cattiva. Già Agostino rifletteva: Chi sono i morti che seppelliscono altri morti? Può forse un morto esser sepolto da altri morti? In qual modo lo avvolgeranno nelle bende, se sono morti? In qual modo lo porteranno, se sono morti? Come lo piangeranno, se sono morti? Eppure lo avvolgono, lo portano, lo piangono pur essendo morti, poiché sono infedeli. (Sermone 100) Ricordiamoci che viviamo tutti nel peccato e a ciascuno è chiesto di prenderlo nella sua vera dimensione rendendosi conto che quest’orrore è diventato il pane quotidiano di tanti. Inumare la Fede comporta che non ci sia certezza alcuna che ciò che oggi occultiamo, domani possa essere ritrovato e realmente compreso. Affrontiamo le ombre che incombono, ma coltivando la speranza che Dio attende tra quelle delusioni. E’ il ritorno alla Croce, perché solo lì si offre una possibilità di guardare a ciò che succede senza che ci ferisca a morte, la Croce ci insegna a leggere e ad affrontare la realtà dei mostri in cui siamo finiti e che portiamo con noi, come il nostro fardello. Tollerare la desolazione della chiesa è combattere il transitorio e continuare a sentirsi a casa nel pensiero di Dio cercando di diventare uno spazio per l’Invisibile. Quale altra esperienza potrebbe mai contare di più? |