8/9/2020
Un’epoca tanto tremendaI resti dei muri che si vedono nella fotografia che apre questo blog appartengono alla chiesa di un monastero di montagna fondato nel 1198 e distrutto da un’esondazione nel 1498. Le incursioni degli eretici e gli interessi economici permisero ai monaci di scendere più a valle come ormai desideravano da qualche tempo.
Quei pochi muri, però, hanno resistito per cinquecento anni, nonostante il disinteresse degli uomini; sono rimasti nascosti nel bosco e, se non se ne conosce la storia, non necessariamente rappresentano un rimando cristiano … Torna alla mente un breve racconto di Varlam Tichonovič Šalamov, Giorno di Riposo tratto da I racconti di Kolyma (Torino, Einaudi, 1999, pp. 143-147), una Divina Comedia ambientata nei lager sovietici dove c’è posto solo più per l’inferno. Due scoiattoli colore del cielo, musetti e code nere, seguivano con interesse ciò che accadeva dietro i larici d’argento. Mi avvicinai all’albero … Allora vidi quello che stavano osservando gli scoiattoli. In una radura della foresta c’era un uomo che pregava. … Inchinandosi profondamente, l’uomo si segnava con gesti rapidi e ampi: con le prime tre dita della mano destra raccolte sembrava quasi voler trascinare la testa nell’inchino. Non lo riconobbi subito tanto mi risultava nuova l’espressione di quel volto. Era il detenuto Zamjatìn, un prete che stava nella nostra baracca. Sempre senza vedermi, continuò a pronunciare con labbra intirizzite dal freddo, solennemente e a bassa voce … officiava la liturgia nella foresta argentata. Si segnò ancora una volta lentamente, si raddrizzò e mi vide. Solennità e commozione scomparvero dal suo volto … - Stava dicendo messa – cominciai io. - No, no – disse Zamjatìn sorridendo della mia ignoranza. - Come potrei dire Messa? Non ho né le specie per l’eucarestia, né la stola. Questo asciugamano è di proprietà statale. -. E si aggiustò il sudicio straccio quadretta in rilievo che gli pensava dal collo e che ricordava effettivamente una stola. …. Inoltre, mi vergogno a dirlo, ma non so dov’è l’Oriente … - - E’ così importante l’Oriente? - No, certo che no. Non vada via. Le dicevo che non celebro la Messa e non posso celebrarla. Mi limito a ripetere, a ricordare la Messa domenicale. E non so neanche se oggi è domenica. - -E’ giovedi -, riposi. - Che le dicevo? Giovedi. No, no, non celebro la Messa. Semplicemente mi dà un po’ di sollievo. E sento meno la fame. - ... Il rapporto, il punto d’intersezione tra l’anima e il suo Creatore è un mistero, di cui la liturgia è la manifestazione simbolica; ridurla, come è stato fatto, a un’insolente nudità ha eroso la Fede. Siamo stati condotti a identificare la nostra identità cristiana a un’esperienza impalpabile. Le rovine di quel monastero, come tante altre simili in Europa, sono un conforto perché ci rammentano che nulla scompare realmente, ma da qualche parte, in qualche angolo nascosto, quando non sono più gli uomini, sono le pietre che continuano a parlare, con il silenzio, a resistere, a essere, anche se (quasi) tutti smettiamo di accorgercene, perché la Fede, sebbene divenuta una scienza oscura, un’accettazione passiva di abitudini fondate sull’ignoranza, non sarà mai ridotta a ceneri galleggianti. Prima, però, di ricordarci la chiesa di pietra, questi muri ci spronano a preservare la chiesa interiore, la nostra anima redenta dal battesimo. Nella solitudine e nella dimenticanza ancora ci propongono con la loro permanenza un insegnamento: oggi la nostra Fede può essere vissuta solo se impariamo a sopportare con un pensiero immobile. In questa epoca tanto tremenda dobbiamo fronteggiare un mondo suadente fino all’oblio della mente e una chiesa, l’abbiamo sotto gli occhi, ancora più suadente. Fino alla morte dell’anima? L’anima è l’atto creativo di Dio. Se questi muri hanno sfidato per cinque secoli gli elementi naturali conservando tutta la stabilità possibile, allo stesso modo noi dovremo sopportare immobili (resistite fortes in fide, 1 Pt 5,9a). Forse, senza che ne siamo propriamente consapevoli, siamo esposti a intemperie particolarissime, cioè siamo chiamati a rivivere inconsciamente, e in grande sofferenza, le diverse fasi della passione di Cristo: dubbio, disperazione, solitudine, fino al sepolcro. Ci stiamo confrontando con la morte dell’anima? Non possiamo trovare sollievo, però, in illusioni consolatorie! Il seme della Fede ci ricorda il Vangelo (Mc 4, 27b) cresce, ma l’uomo dum nescit ille: “Come, egli stesso non lo sa”. A noi è offerto come una presenza segreta. Avere la saldezza di quei muri potrebbe non dipendere altro che dalla nostra umile preghiera di aiuto: Domine ad adiuvandum me festina (Ps 69,2b). Chiediamo come dono non solo di poter tenere sempre viva la capacità di avvertire il male nella chiesa, in qualunque sede si annidi, ma soprattutto la forza di non separaci da quella corruzione, assumendocene la responsabilità, come fosse frutto del nostro peccato personale. Tanto più saremo in grado di tollerare quest’amarezza inospitale, maggiormente potremo comprendere che la nostra vocazione è di vigilare (come le antiche vigilie dei cristiani che terminavano con la celebrazione della Messa) al limitare di un campo di battaglia nel quale Dio e la superbia dell’uomo si confrontano. La brutalità della superbia ha oggi un volto confusivo perché suadente: misericordia, ingiustizia, fratellanza universale, nuovo umanesimo … Chissà! La nostra fermezza nella Fede potrebbe essere la base di una ri-articolazione del cristianesimo, ma se ci siamo meritati questa chiesa, dove si giunti a reintrodurre gli idoli nella casa di Dio, dobbiamo aver molto peccato e per questo non è scontato che saremo noi i costruttori di ciò che sarà costruito con le sue macerie. Šalamov conclude il suo racconto in questo modo: … varcai la soglia [del deposito, dove si tenevano gli utensili]. … Due malavitosi facevano il solletico a un grosso cucciolo … - ma guarda come si sbatte, - aggiunse, palpando il fianco destro del cucciolo vicino al cuore e facendogli il solletico. Il cucciolo guaì fiducioso e leccò lamano dell’uomo. … Semën tirò fuori da dietro la schiena a un’accetta e con un colpo breve e rapido la calò sulla testa del cane. … la sera il profumo di brodo di carne impediva ll’intera baracca di prendere sonno … il cucciolo era ben pasciuto. Ne restò una gavetta con qualche boccone. … - li daremo al prete. Ehi padre, da parte nostra, gradisci un po’ di montone. Però, poi lava la gavetta. - … Zamjatìn prese la gavetta e sparì. Cinque minuti dopo ritornò con la gavetta lavata. – Di già? - … Mandi giù in fretta … Non era carne di montone, Padre, ma carne di cane. Quel cagnolino che veniva a trovarti … Zamjatìn fissava Semën in silenzio. Poi si voltò e uscì. (Io) Uscì dietro di lui. Zamjatìn era in piedi … sulla neve. Vomitava … - Che razza di farabutti! – gli dissi. - Sì, certo, - disse Zamjatìn. - La carne, però, era buona, non peggio di quella di montone. - Gli uomini sono mendaci (Ps 115, 11b), nel nostro cuore non abbiamo forse anche noi accettato ieri senza un atteggiamento responsabile i cambiamenti liturgici e oggi senza una riflessione responsabile l’avvio dei processi di modifica del contenuto della Fede? La nostra risposta continuerà a essere quella del prete Zamjatìn? La carne, però, era buona, non peggio di quella di montone! |