30/11/2020
I cristiani di vetroLa liturgia conosceva il termine ‘perfido’ indicante la mancanza di Fede[i], ma, travolto dagli eventi, non correttamente tradotto, questo termine è stato condannato all’oblio. Si sa però che ciò che è rimosso, ritorna. A volte un demonio scacciato, ritorna con sette peggiori di lui (Lc 11,26).
In questi ultimi anni stiamo assistendo all’uso ‘perfido’ della parola ‘normale’; dove attraverso la ‘normalità’ si sta cercando di condurre la coscienza verso il nulla, verso la morte dell’anima. Gesti e parole creati ad arte come normali, sono adoperati come quelle armi di guerriglia che contengono sostanze chimiche mescolate a feci, in modo che ustioni o ferite s’infettino rapidamente. E’ veramente normale tutto questo? E’ un organismo sano quello che produce una situazione di tal genere? E’ quello, però, che sta succedendo nella chiesa nuova uscita dal concilio; un’ecclesia rovesciata in conflitto. Se questa è l’auspicata normalità della chiesa, il cristiano invece di essere un coccio di vetro in grado di rispecchiare il sole è stato ‘trattato’ in modo tale da divenire un vetro opaco. I testi conciliari sono stati la via maestra dell’ambiguità; un particolare tipo di demone sconosciuto agli antichi monaci del deserto. L’ambiguità, costruita principalmente nei fiumi di parole e insegnata attraverso i catechismi, ha reso l’identità del cristiano fragile come il vetro fino a voler sostituire Dio con la filantropia e oggi, dopo aver eliminato ogni discorso sull’anima, completa il percorso di allontanamento dell’uomo da Dio svilendo nei fatti la legge naturale. Il vero dramma non è lo sdoganamento delle perversioni di ogni tipo, ma la tenacia con la quale sono usati questi aspetti doloranti della natura umana segnata dal peccato originale per creare una nuova legge, una ‘normalità’. Cos’è la perversione se non la mancanza di senso? Il peccato di Sodoma consiste non nell’esercizio delle perversioni, ma nel rendere il comportamento perverso una norma, una legge, fino al punto di attentare anche Dio. Il cristiano di vetro, immaginato da qualcuno con la scusa dell’aggiornamento, ha ormai l’anima nelle narici, è pieno di fessure ed essa, con lo sbriciolamento dell’identità della Fede, sta sfuggendo da ogni parte. Sono stati scritti migliaia di libri per dimostrare che in duemila anni i cristiani non avevano capito nulla, mentre con il vaticano II…, finalmente si è compreso il Vangelo! Negli ultimi anni abbiamo visto il frutto maturo del concilio che ci sta predicando come deve essere l’uomo (cristiano è parola che comincia a disturbare); un uomo immerso nell’ambiguità, beatamente fratello di tutti, che deve difendersi dalla propria identità considerandola come peccato e assumere quella degli altri. Quest’uomo è cresciuto con una liturgia semi-industriale, strabordante di riferimenti biblici bevuti come una medicina da laboratorio che non penetra nella coscienza perché il bugiardino non lo permette. Non bisogna confondersi; la Bibbia è la panca sulla quale deve sedersi il cristiano: mistero e logos. Il nuovo linguaggio ecclesiastico (sia del cosiddetto magistero sia dei teologi) ha abbandonato la chiarezza espositiva, che non può che fondarsi sulla Fede, per strumentalizzare Dio. Sopprimendo la conoscenza della Tradizione si è potuto procedere all’amnesia. Le forze spirituali sono state indebolite e si è insinuata una forma di barbarie spirituale che ha intaccato l’integrità e la chiarezza della coscienza del cristiano. Il cristiano di vetro tra le cui mani, come feticcio, è stata posta la bibbia commentata in stile anatomo-patologico si aggira in una chiesa opulenta, colta e progressista, ma gravida di pericoli incombenti di fronte ai quali cerca salvezza negli gli idoli, dalla Pachamama all’ecologia, fratellanza, economy of Francis[ii] ecc.. La cecità che si vuol far credere abbiano avuto i duemila di cristianesimo che ci hanno preceduto aveva una dignità, tant’è che si è espressa attraverso diverse forme di bellezza. La sua liturgia era lenta e misurata, non interessata all’efficienza ma rispettosa di Dio, la cui presenza era percepita ogni dove. E oggi? Durante le trattative per la costruzione del messale romano fu eliminata la missa contra pestem: si sa l’uomo moderno aveva superato quest’anticaglia del passato. Ora si è voluto correre ai ripari, con risultati verbosi e scarsi, perché molto si è perso lungo la strada. Come a dire: l’orizzonte è molto cupo (a peste, fame et bello libera nos Domine, cantavano le antiche litanie!) siamo immersi in una miseria morale ben più grave della pandemia e forse stiamo andando verso una miseria materiale dai risvolti difficilmente prevedibili, ma di quei riti e di quella dignità che sostenevano l’irrisa ingenuità dei nostri padri, ci siamo sbarazzati (nel 1969 c’erano preti che bruciavano gli antichi messali…). Adesso sì che siamo nella miseria! Esiste un tempus maturum mortis, spetta a noi comprenderlo e accettarne le condizioni. E’ il tempo della riscoperta della Fede come alternativa alla peccaminosità della nostra epoca. Il tentativo di forgiare il cristiano nuovo, lontano dal mistero del peccato, del giudizio e della vita eterna, ha prodotto un'anima devastata. I milioni di parole con le quali i ‘pastori’ hanno invaso la chiesa ne hanno reso indifferente l’anima. Occorre tornare alla luce della Verità. Il primo passo è l’abbandono del fascino stanco del mondo. Siamo forse immersi nel mistero di Giuda? Giuda è il primo a ricevere il pane intinto (Gv 13,26), è quello che tiene la borsa con la scusa dei poveri (Gv 13,29). Come dire: chi, con la scusa dei poveri, proclama più forte la sua devozione è colui che finisce con il tradire, cioè consegnare Cristo ai suoi nemici (perché questo è il significato primario del termine). Non si può forse leggere nella storia della Chiesa che il desiderio di denaro è stato sbandierato di frequente con la scusa dei poveri, così come il desiderio di potere con la maggior gloria di Dio? Per non parlare del dialogo, azione che di per sé possiede una propria nobiltà, diventato, però, sogno illuminista di perfetta conciliazione e usato come cavallo di Troia del tradimento, cioè della consegna della propria identità in nome di una condivisione dai piedi di argilla. Giuda quando si rende conto di come Gesù è condannato (Mt 27,3) fu condotto a penitenza dice il Vangelo, ma come intuì bene già san Leone Magno (Sermone 5 sulla Passione) è una penitenza perversa perché Giuda si condanna da solo come maledetto, e si giustizia. Con le sue stesse mani. Il peccato di Giuda è, anche qui come a Sodoma, non tanto il tradimento (la consegna di Gesù ai suoi nemici), ma l’impossibilità della Fede, cioè l’impossibilità di superare l’effetto distruttivo del peccato. Se l’uomo è stato definito via della chiesa, questo è il mistero di Giuda. Il cristiano di vetro è spinto a svendere se stesso e, come Giuda, sarà un uomo che si condanna da solo, sentendosi maledetto e finirà con l’impiccarsi con le sue stesse mani. Non abbiamo altra strada che accettare con umiltà di dover ricominciare tutto da capo, più poveri perché ci stiamo scontrando con la vacuità del ‘magistero autentico’ e del catechismo: mutevoli come il vento, cedevoli come gli idoli. Mentre affrontiamo nella chiesa gli agenti del caos e della distruzione, la Fede manterrà il sopravvento solo se fondata sulla roccia della professione di Fede, non sull’uomo … come abbiamo sotto gli occhi! Nel Messale antico era presente la Messa per la vigilia dei santi Pietro e Paolo (28 giugno); celebrare la vigilia di una grande festa era l’occasione per prepararsi in modo corretto. Si cantava, infatti, questa colletta: Praesta, quaesumus, omnipotens Deus: ut nullis nos permittas perturbationibus concuti; quos in apostolicae confessionis petra solidasti. Per Dominum... Concedi, Dio onnipotente, che tra gli sconvolgimenti del mondo non si turbi la tua Chiesa, che hai fondato sulla roccia con la professione di fede. Celebrando i santi Pietro e Paolo, fondatori della Chiesa di Roma, si era orientati e impregnati dell’unum necessarium: la professione di fede, vera roccia del cristiano. La vigilia scomparve con la riforma del 1955 (un caso?); la colletta fu recuperata nel messale di Paolo VI, ma trasferita alla festa della Cattedra di san Pietro (22 febbraio) sostituendo quella precedente che qualificava un aspetto del ministero petrino: la potestà di sciogliere e di legare. Spostandola in quella festa si ‘stressava’ la centralità/unicità della persona di Pietro come da due secoli a questa parte è purtroppo avvenuto contro una tradizione che considerava la sede, più che la persona. Cosa per altro evidente nel gesto di Gesù che assegna a Simone il nome di una cosa/simbolo, non di una persona. La controprova del mutamento della sostanza la troviamo nell’aggiunta rintracciabile nella traduzione italiana del messale romano che ben interpreta l’intenzione di chi ha composto il nuovo messale, parole che in origine non esistevano, perché quella non era l’intendimento della Fede: Concedi, Dio onnipotente, che tra gli sconvolgimenti del mondo non si turbi la tua Chiesa, che hai fondato sulla roccia con la professione di fede dell'apostolo Pietro. Se vogliamo ricostruire da capo, e dobbiamo farlo!, non occorre distruggere, ci sta già pensando qualcun altro dall’interno della chiesa, ma non dobbiamo neppure ripetere il passato che confondeva la (comoda) passività verso l’autorità come l’obbedienza. Dobbiamo avere la responsabilità dell’obbedienza; consapevoli che chi detiene autorità nella Chiesa più di ogni altro ha il peccato accovacciato alla sua porta (cfr Gn 4,7) e … può portarci alla perdizione. Il pensare e la chiarezza mentale sono le difese più forti per la libertà e la dignità, perché nel cristiano, come un cristallo purissimo, possa risplendere la Gloria di Dio. [i] Diceva Cicerone: perfidiosum est fidem frangere (in Difesa dell’attore Roscio, Milano Garzanti, 1995): il perfido è colui che infrange la fede … [ii] L’economia è ciò che ha sostituito la religione, diceva il celebre economista J.R.Keynes
1/11/2020
Un cabaret del nullaCento anni fa gli animi devastati dall’esperienza spaventosa della prima guerra mondiale cercavano in vari modi qualcosa a cui appoggiarsi, a molti sembrò che il comunismo sovietico potesse essere una soluzione, qualcuno andò a vedere di persona e considerò una gran fortuna quel viaggio perché se non l’avesse fatto non avrebbe mai riconosciuto se stesso.
È un po’ l’esperienza che si ricava leggendo gli ultimi documenti del ‘magistero autentico’[i] della chiesa cattolica: è intensa l’impressione che Dio ci abbia voltato le spalle a motivo degli errori (e orrori) che ci accompagnano. La filosofia dietro a questi documenti sta trasformando la chiesa, in maniera più o meno impercettibile, in un cabaret del nulla. Non ci si può limitare a consolarci pensando, come diceva un saggio a proposito delle poesie, che questi documenti sono come le persone: pochissimi sono autentici! Un documento attira l’altro e lo sgomento può indurre confusione, così succede se si legge l’asciutto e preciso catechismo maggiore di Pio X: “175. Può sbagliare la Chiesa nelle cose che ci propone a credere? No, nelle cose che ci propone a credere, la Chiesa non può sbagliare, perché secondo la promessa di Gesù Cristo ella è perennemente assistita dallo Spirito Santo. 197. Può errare il Papa nell'ammaestrare la Chiesa? Il Papa non può errare, ossia è infallibile nelle definizioni che riguardano la fede e i costumi. 198. Per qual motivo il Papa è infallibile? Il Papa è infallibile per la promessa di Gesù Cristo e per la continua assistenza dello Spirito Santo. 199. Quando è che il Papa è infallibile? Il Papa è infallibile allora soltanto che nella sua qualità di Pastore e Maestro di tutti i cristiani, in virtù della suprema sua apostolica autorità, definisce una dottrina intorno alla fede o ai costumi da tenersi da tutta la Chiesa. 201. Per qual fine Dio ha concesso al Papa il dono dell’infallibilità? Dio ha concesso al Papa il dono dell’infallibilità affinché tutti siamo certi e sicuri della verità che la Chiesa insegna.” Lo stesso effetto lo si coglie leggendo il ben più prolisso Catechismo della Chiesa Cattolica: “889 Per mantenere la Chiesa nella purezza della fede trasmessa dagli Apostoli, Cristo, che è la verità, ha voluto rendere la sua Chiesa partecipe della propria infallibilità. Mediante il « senso soprannaturale della fede », il popolo di Dio « aderisce indefettibilmente alla fede », sotto la guida del Magistero vivente della Chiesa. 890 La missione del Magistero è legata al carattere definitivo dell'Alleanza che Dio in Cristo ha stretto con il suo popolo; deve salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti, e garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza errore l'autentica fede. Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Per compiere questo servizio, Cristo ha dotato i Pastori del carisma dell'infallibilità in materia di fede e di costumi. L'esercizio di questo carisma può avere parecchie modalità. 891 « Di questa infallibilità il Romano Pontefice, capo del Collegio dei Vescovi, fruisce in virtù del suo ufficio, quando, quale supremo Pastore e Dottore di tutti i fedeli, che conferma nella fede i suoi fratelli, proclama con un atto definitivo una dottrina riguardante la fede o la morale. [...] L'infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel Corpo episcopale, quando questi esercita il supremo Magistero col Successore di Pietro » soprattutto in un Concilio Ecumenico. Quando la Chiesa, mediante il suo Magistero supremo, propone qualche cosa « da credere come rivelato da Dio » e come insegnamento di Cristo, « a tali definizioni si deve aderire con l'ossequio della fede ». Tale infallibilità abbraccia l'intero deposito della rivelazione divina. 892 L'assistenza divina è inoltre data ai successori degli Apostoli, che insegnano in comunione con il Successore di Pietro, e, in modo speciale, al Vescovo di Roma, Pastore di tutta la Chiesa, quando, pur senza arrivare ad una definizione infallibile e senza pronunciarsi in « maniera definitiva », propongono, nell'esercizio del Magistero ordinario, un insegnamento che porta ad una migliore intelligenza della Rivelazione in materia di fede e di costumi. A questo insegnamento ordinario i fedeli devono « aderire col religioso ossequio dello spirito »che, pur distinguendosi dall'ossequio della fede, tuttavia ne è il prolungamento.” L’apparente sicurezza che questi testi inducono si scontra con la realtà dell’ultimo ‘magistero autentico’ che ormai è solo più uno spettacolo per condividere un abisso di vuoto in cui, come si può osservare meditando attentamente le parole riportate nei catechismi, non è solo una questione di una persona, comporta ripercussioni ben maggiori sul complesso intero del patrimonium fidei. Siamo precipitati nell’abisso e il rischio, quando ci si abitua a rimanere nell’abisso, è di renderci inclini a un certo annebbiamento, perché l’anima ne è prima ferita, poi devastata e infine resa indifferente, cioè condotta alla soglia della morte. La radicalizzazione della funzione del papato di cui i catechismi sono testimonianza è avvenuta in un periodo storico in cui la Chiesa si sentiva attaccata da ogni parte, ma soprattutto sperimentava di non riuscire più a intercettare l’anima dell’uomo, non riusciva più a esprimere parole credibili e condivise. Il grande problema dell’uomo a cui la Chiesa è chiamata a dare una speranza, indicare un insegnamento è una risposta sulla morte, l’esperienza della vulnerabilità e del transitorio. Dopo il concilio di Trento la chiesa, diventata barocca, fece suo il teatro che serviva per esorcizzare la paura dell’effimero, ma ha pagato un prezzo elevatissimo. Improvvisamente l’ancien régime è crollato causando un grande trauma. Invece di affrontare la realtà nuova, seppure tragica, fu avviato un’imponente processo che ha prodotto un infantilizzazione dei fedeli. L’ateismo, una raffinata e subdola forma di esorcismo contemporaneo della morte, non è stato affrontato in modo diretto come, per esempio, suggeriva la vita sofferta di santa Teresa di Lisieux[ii], ma si è preferito optare per un vitello d’oro: un uomo che parla in nome di Dio, al posto di Dio, che offre sicurezza. Questo vitello, oggi è così sicuro di sé che arriva al punto di considerare come ‘culturale’ il titolo di vicario di Cristo: per non assumersene l’onere e tenere, invece, ben stretto l’onore? Il cammino del cristiano è un percorso nella notte simile a quello di tutti gli uomini, la differenza sta nella fede in Gesù Cristo unico redentore. Viviamo in un momento di iper diffusione della Bibbia, ma sembra che non riusciamo a leggerne l’insegnamento; Mosè (Dt 3, 25-26) dopo aver guidato il popolo di Israele per quarant’anni nel deserto esprime la certezza di entrare nella Terra Promessa, ma Dio ha colto la sua mancanza di fede e ha deciso altrimenti: Mosè vedrà la Terra Promesse solo da lontano e infatti, adirato, gli risponde: “Basta! Non parlarmi mai più di quest’argomento”. Ci siamo dimenticati che non siamo i padroni della fede, che non sta a noi cambiarla, modificarla o aggiornarla, possiamo solo mantenere lo sguardo fisso verso Cristo, perché l’anima della Chiesa consiste nella Fede, nella Speranza e nella Carità. Per far fronte al vuoto che ci tocca attraversare, al pericolo incombente della morte dell’anima è molto umano ricorrere a espedienti. Oggi ne spuntano ovunque: segreti mariani, accoglienza degli ultimi, creazione di una fraternità universale, perversioni economiche e sessuali nella chiesa, riproposizione di modelli di vita del passato, catene di preghiere, processioni, digiuni ecc., La domanda di Gesù è, però, un’altra: Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato? (Mc 10,38b). Scegliamo gli espedienti o questa notte oscura? *** Pavel Florenskij (Ɨ 1937), prete ortodosso fucilato durante le purghe staliniane, disse una volta alla figlia che viviamo in un’epoca tanto tremenda e ognuno deve assumersi la propria responsabilità. Terminava osservando che si deve accettare che soltanto l'ascolto della parola di Dio deve sostenerci. E’ vero che in quegli anni una chiesa parallela di sostegno al regime comunista rendeva la vita assai difficile, ma il senso dell’ortodossia era ancora diffuso e saldo; noi, al contrario, lo abbiamo demolito in questi decenni e ora siamo di fronte all’eliminazione coatta del poco rimasto. Tutto è più arduo per noi, compreso lo stesso ascolto della parola di Dio, diventato veicolo per dottrine accattivanti che nella chiesa stanno tentando di sradicare la croce di Cristo. Ci seducono perché sprigionano un incantesimo, come tutto ciò che inganna; del resto non si dice forse che el diablo tiene cara de conejo[iii]? [i] Acta Apostolicae Sedis (AAS 108 [2016; 10], pp. 1071-1074) [ii] Non a caso trasformata nella ‘Santa delle rose’. [iii] Il demonio ha faccia d’angelo. |